Franco Battiato e l’assoluta libertà

Giacomo Bonagiuso ci racconta il suo rapporto con Franco Battiato

Redazione Prima Pagina Partanna
Redazione Prima Pagina Partanna
19 Maggio 2021 11:11
Franco Battiato e l’assoluta libertà

Siamo sempre così egocentrici: l’addio a Battiato è diventato sui soliti social uno show-reel di foto “dove-ci-sono-pure-io”: chi gli stringe la mano, chi ci canta assieme, chi canta le sue cose, chi esibisce la foto da fan… Mi ci tuffo pure io? Ho incontrato Battiato alcune volte, l’ho intervistato a Mazara del Vallo, quando gli abbiamo assegnato il Premio “Il Satiro” e venne, con Gregorio Napoli, a presentare il suo film da regista che tanto fece discutere, in un Teatro Rivoli affollatissimo.

Poi lo ho ospitato a Gibellina, al Cretto curando per il Comune l’Ufficio di Comunicazione dell’evento. Ho messo in scena “La Via di casa” nella Chiesa di San Domenico, all’alba al Tempio di Hera a Selinunte, che connette i suoi brani al teatro… Ho scritto infine sulla poetica di Battiato. Ci ho mangiato insieme, fatto foto rubate, e non mi sognerei neanche per un istante di pubblicarle. Gli ho devotamente dato del Lei, sempre, e anche scrivendogli mail ho proseguito. Come Battiato dava del Lei a Sgalambro… Che strano, vero? Così fuori dalla moda d’oggi di dare a tutti del tu… E pure quando, chiedendo ossequioso permesso, mi sono caricato in braccio Sgalambro al Cretto, troppo scosceso perché lui potesse arrivarci, accompagnato da un sorriso di Battiato, ho proseguito nel Lei di una devozione senza riserve.

Tutto quello che sta sotto, a fianco di questi eventi, resta ricordo personale, non cimelio da esibire. Specie se davvero abbiamo capito qualcosa di Franco Battiato.

Io ho amato alla follia Battiato: e oggi ho letto davvero di tutto. Versi, citazioni, spesso invadenti… e sarà forse l’umore nero della giornata, ma mi sono anche infastidito nel leggere pistolotti di ogni natura. Franco Battiato era un genio! Curioso che lo si possa dire tutti noi che non siamo affatto geni. La sua presenza nel cuore della discografia italiana era la presenza di una libertà macroscopica, che nessuno ha mai saputo eguagliare. Giocava di certo, o probabilmente, il maestro, con l’aura mistica, con la distanza che la filosofia Sufi concede, con un cinico distacco dalle cose.

Tra i ricordi vorticosi di spettatore resta l’ultimo, a Palermo, del suo concerto al Politeama quando cazziò due donne sedute davanti a me che volevano vedere interamente il concerto nei loro imbarazzanti ipad. Ipad grossi come padelle bianche innalzati davanti agli occhi. “E toglietelo sto coso – gli disse Battiato dal palco – neanche del presente vi curate… Siamo qui, non lì dentro”. Strano che un fan da seconda fila non prevedesse di infastidirlo con questo assedio social...

Battiato non si metteva in posa nelle fotografie, e chiunque provi ad esibirne una, frutto del “ci possiamo fare una foto?” potrà rilevare un Battiato freddo, con lo sguardo altrove, al limite dell’infastidito. Forse sarà stata anche l’aura del personaggio, chissà. Ma di certo Battiato non amava questo tipo di divismo. Per questo non starò a raccontare del suo menù vegetariano, del suo autista, del letto troppo morbido a Mazara, della puzza di formaggio, dell’olio nel bicchiere…

Voglio solo porre l’attenzione sulla presenza. Non sull’assenza. Chiunque non abbia compreso a pieno le canzoni di Battiato, e chiunque ancora le consideri una sequenza di testi che giocano con l’ermetismo, ha oggi in entrambi i casi ragione, molto probabilmente. I testi di Battiato sono delle mappe, cui mancano una miriade di caselle. Una serie di vuoti, con qualche interpunzione che fa da guida ma anche da smarrimento. Come i segni arabi e semiti tracciano le consonanti che poi la memoria, la storia, la presenza a se stessi e al cosmo, devono poter far sbocciare in discorso, così i testi di Battiato sono incompleti, frammentari, a metà tra Eraclito l’oscuro e la scrittura sacra del Sufismo. Sono scritture, in questa parte di universo, che prevedono l’inserimento del lettore nel codice della scrittura.

Senza lettore restano consonanti non sonore, non pronunciate, non pronunciabili… Così La Cura è diventata per tutti noi la canzone d’amore per lei, o per lui, mentre è il canto d’amore che l’anima immortale dedica al corpo mortale…

Battiato scrive per quell’anima del pensiero che vede nell’uomo un tassello del cosmo, e nel cosmo una vibrazione consonante dell’uomo. Potrei citare testi, uno dietro l’altro, o lasciarmi avvolgere dal commiato dell’ultimo – non davvero ultimo – brano che la discografia ha confezionato qualche anno fa per rendere ecogeno l’addio, oggi.

Ma, come La Cura, anche quel testo parla d’altro… di migranti, di anime condannate a tornare nei corpi, fino alla liberazione. Libertà è non tornare, il non ripetersi dell’identico. Fuori da Nietzsche, fuori dall’Occidente.

Che importa, però, se tutto ciò non tesse necessariamente un discorso? Battiato ha scelto di fare il musicista, e sin dall’origine ha liberato suoni, dissonanze, osato spezzare tempi e ritmi che la musica italiana ama invece ripetere per arruffianarsi il lettore. Siamo tutti fieri di essere intonatissimi, di sfidare l’armonizzatore elettronico, e di stare sul pezzo sulla soglia dell’urlo. Ormai, tra scuole e talent, la questione è sempre la stessa: quando fa il salto d’ottava? Quando urla?

Battiato non ha mai urlato, e se senti intonare le sue canzoni senza lo sporco del respiro o l’esitazione del cut-off, hai perso un bel pezzo di musica… Battiato era ed è la libertà che sfida ogni commercio, pur essendo diventato oggetto di culto e di commercio, a partire dal costo del biglietto... Se proprio non vogliamo sforzarci di completare i buchi nella mappa dei suoi testi, proviamo a cogliere l’eccezione del tessuto musicale. Lingua universale è la musica, specie quando non asseconda incisi e motivetti. Ecco: senza nessuna foto, senza autografi, senza divismi, oggi Battiato mi ricorda questa assoluta e strafottente libertà d’essere. Assoluta. Cosmica.

Giacomo Bonagiuso 

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