“Una Punta di Sal”. “Nuovayork”, la mafia americana e Matteo Messina Denaro

Il sogno americano degli emigrati. La mafia made in USA e quella di "cosa nostra" siciliana fino ai giorni nostri

Redazione Prima Pagina Partanna
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18 Aprile 2021 19:56
“Una Punta di Sal”. “Nuovayork”, la mafia americana e Matteo Messina Denaro

An American Dream. Ecco il sogno americano, la speranza di una vita migliore, a cavallo tra il XIX e il XX secolo che ha fatto emigrare migliaia di siciliani a “Brucculino” a Chicago, chiamati da qualche parente, da qualche amico, partire per una nuova avventura della vita, la vera svolta del giovane e del meno giovane su quella nave che impiegava otto giorni per approdare a “nuovayork”. Ecco “Lamerica”, il sogno per una vita felice e prospera per vivere da “americano” magari con duro lavoro, coraggio e determinazione.

All’arrivo baci e abbracci, andiamo a Brucculino, “comu si, o paisi chi si rici? - E tu chi fai? Stai bene? Ti maritasti?- Ca stamu tutti bene, travagghiamo, avemo un bello car (auto) e facemo belli passiati. E bravo Ninuzzu, ora ti sistemo. Ma tu a Lamerica vo arricchiri?” Ninuzzu non sa. Occhi smarriti e bocca chiusa. E’ disorientato. La gente corre, mai vista tanta gente correre “ma runni (dove) vanno?”. Poi si accorge che la realtà è diversa. 

Gli italiani che sono emigrati in America alla fine dell’Ottocento e a inizio Novecento in cerca di nuove opportunità hanno iniziato dal basso, lavorando nelle miniere e nei campi(in foto copertina: New York-Welcome to the land of freedom; immagine da quotidiano illustrato di Frank Leslie, pp. 324-325, da wikipedia.org). Molto spesso venivano anche discriminati e segregati in base alla razza e, in alcuni casi, anche linciati in pubblico. Si racconta che “mastro Turiddru” partì nel 1951 anche lui per lavorare in America con un solo scopo… guadagnare un gruzzoletto di dollari per comprare l’ambita “Sedia Americana girevole e inclinabile” e portarla nella sua barberia nel quartiere degli Archi a Ragusa Ibla… e siccome aveva una carnagione più scura di alcuni immigrati anglosassoni, veniva scambiato per messicano.

Soffriva molto per la discriminazione, si raccontava. Il sentimento razziale ai tempi dell’immigrazione italiana in America era molto forte, a tal punto che le paghe sancite dallo Stato, per le classi operaie, erano divise per etnia: “Bianchi $1,75, Neri $1,50 e Italiani $1,35”. Gli italiani venivano pagati meno dei neri, perché erano arrivati dopo di loro per lavorare da operai. Un altro ragazzo, metà siciliano e metà napoletano che allora ha preferito l’anonimato per motivi di privacy diceva di come i suoi nonni durante la discriminazione razziale erano costretti a bere nelle stesse fontane dei “neri”.

Anche i linciaggi verso gli italiani non mancavano. C’è una foto di due siciliani immigrati che erano stati impiccati per una presunta sparatoria senza alcuna indagine o processo, che sembra risalire al 1910 nel sud degli Stati Uniti. 

La permanenza di “mastruTuruddu” a Brucculino durò sei mesi e alla fine ritornò con il Transatlantico Andrea Doria il 16 gennaio 1952 (sei mesi dopo l’arrivo in America) insieme alla decantata “Sedia Americana” … La notizia del ritorno del Barbiere Turiddu inteso “Testa Rossa” con la “sedia Americana”fece scalpore e lui, per anni, raccontò il suo “American dream”. Immaginate un giovane venticinquenne insieme ad altri due amici, destinazione “LAMERICA” New York… per trascorrere le vacanze estive!Nella mente gli frullavano tante emozioni indescrivibili, stava per raggiungere il mondo sempre visto al cinema o alla televisione, il Paese della Coca Cola, dei Cartoni Animati, della Walt Disney, della Breakdance, di Rintintin ma soprattutto il Paese in cui nel 1951 posò piede suo nonno Turiddu inteso “Testa Rossa”....All’atterraggio presso l’Aeroporto Internazionale John F.

Kennedy solo uno specchio davanti a lui poteva fargli vedere la gioia e la curiosità impressa sul suo volto… il Sogno si stava realizzando. Vi fu un susseguirsi di emozioni e di grande meraviglia nel visitare New York, Washington, poi pensò “ma questa è una terra dove è nata la mafia americana targata Sicilia, e si è chiesto chi fu il primo siciliano mafioso in America. Si chiamava Giuseppe Esposito. Fuggì a New York (insieme ad altri sei “compari”) dopo aver ucciso, in serie, 11 ricchi proprietari terrieri, un cancelliere e un vice cancelliere.

Fu arrestato a New Orleans nel 1881 ed estradato in Italia. Ed è a New Orleans che ci fu il primo “omicidio eccellente” negli Usa. È il 15 ottobre del 1890, il sovrintendente della polizia cittadina David Hennessey, viene ucciso in quella che fu definita dall’Fbi una “esecuzione”. Seguì la repressione, centinaia di siciliani vengono arrestati e 19 fra loro incriminati per l'omicidio. Vennero assolti ma l’indignazione dei cittadini di New Orleans, portò ad un vero e proprio linciaggio, con l’uccisione di 11 dei 19 imputati.

Da quel momento la mafia americana si è evoluta fino alla costituzione de “La Cosa nostra” (LCN), differenziata dalla “Cosa nostra” siciliana. Ma il momento chiave per gli inquirenti americani fu nel 1956 quando la Polizia dello Stato di New York scoprì una riunione di mafiosi di tutto il paese nella piccola città di Apalachin, con in testa Lucky Luciano, per arrivare alla divisione in cinque famiglie (Bonanno, Colombo, Gambino, Genovese, Lucchese), i cui capi sedevano in una rivisitata “cupola” dal chiaro sapore siciliano.

Il business era il traffico di sostanze stupefacenti e l’edilizia con espansione nei cinque borghi di New York: Bronx, Manhattan, Brooklyn, Queens e Staten Island.Le “cinque famiglie”, inoltre, vantavano diverse proprietà aziendali, fra queste ristoranti, concessionari d’auto, società di costruzioni e immobiliari, fino a strip club e topless bar. 

Quella era una mafia “industrializzata e pianificata” che viveva in mezzo ai grattacieli e ai kalashnikov e che non ha nulla a che vedere con la mafia siciliana, specialmente quella degli ultimi anni di Riina e Provenzano che usavano fucili a canne mozze e bombe e del rampollo di casa nostra Matteo Messina Denaro, un fantasma latitante da 28 anni, senza volto, di cui «esiste solo il mito». Chissà se Matteo Messina Denaro è stato in America, magari per prendere contatti internazionali, se è stato a “brucculino”, a “nuovaiork”, oppure per vivere una bella stagione in California tra piscine e grandi alberghi.

Oggi invece il gran capo di Cosa Nostra, l’uomo intelligence che conosce a menadito cause, fatti, nomi di esecutori e mandanti delle stragi del '92-'93, l’uomo che da 28 anni non si trova, avrà anche lui i suoi bei grattacapi per il coronavirus. Dovrebbe avere qualche difficoltà, a redigere l’autodichiarazione predisposta dal Viminale per tutti i comuni mortali.Non può scrivere come si chiama. Non può scrivere dove abita. Non può rivelare da dove è iniziato il suo spostamento, né dove è diretto.

Si muove per “Comprovate esigenze lavorative”?“Non sono pochi i suoi fans – scrive il giornalista Saverio Lodato - che lo descrivono come uomo di buone attitudini intellettuali e di fine concetto. Ragion per cui non ammazzerà le giornate leggendo e rileggendo i libri di mafia che sono zeppi di cazzate, soprattutto agli occhi di uno che quella materia la conosce davvero, l’ha vissuta, l’ha scritta in prima persona. Al vecchio capo cupola, Michele Greco, piacevano i “Vangeli”; a Pietro Aglieri, il boss religiosissimo e cresciuto in compagnia di sacerdoti, “La Vita dei Santi” e tanti altri che si rivolgevano al Signore per cercare aiuto battendosi il petto.

Matteo Messina Denaro non ce lo vediamo a meditare Sant’Agostino,San Vito o Pico della Mirandola. Credente sì, ma praticante è altro conto”. Matteo Messina Denaro il suo “american dream” lo ha trovato in Italia, dalle nostre parti, tra aridi terreni e il mare azzurro della costa, con pizzini e scagnozzi di lungo corso, sentinelle che lo proteggono e lo guidano mentre lui passeggia, magari, con la mascherina nel corso principale delle città che, forse, settimanalmente “visita” per guardare le belle donne e le vetrine dei negozi.

Altro che “an american dream”!

Salvatore Giacalone 

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