Hikikomori: il disagio giovanile che porta all'isolamento volontario

Scopriamo questo disturbo che sta purtroppo diffondendosi tra i giovani

Redazione Prima Pagina Partanna
Redazione Prima Pagina Partanna
02 Marzo 2022 16:20
Hikikomori: il disagio giovanile che porta all'isolamento volontario

In questi ultimi anni, all'interno del complesso mondo del disagio giovanile e della dispersione scolastica, sta emergendo anche da noi un profilo particolare di malessere in gran parte nuovo:alunni che sempre di più diradano la propria presenza a scuola, fino al suo abbandono. Quello che rende questo "abbandono" molto sui generis è che il ritiro non avviene tanto per disinteresse o per insuccesso negli studi, quanto perché non riescono più a reggere i contesti sociali in cui vivono e il primo contesto a venire rifiutato è la scuola.

Di fatto é la scuola il primo vero contesto sociale che un giovane, un ragazzo è costretto ad affrontare. Le condizioni che portano adolescenti e giovani a chiudersi in casa, o addirittura nella propria stanza, sono state ampiamente studiate in Giappone dove questo fenomeno si è diffuso prevalentemente già a partire dagli anni 80 ed è stato indicato dallo psichiatra giapponese Tamaki Saito con il termine Hikikomori (che vuol dire stare in disparte). Negli ultimi anni questo fenomeno si sta diffondendo a macchia d'olio, complice ignaro anche il Covid.

Questo fenomeno é caratterizzato dal fatto che é una volontaria reclusione, un rifiuto ma anche una forma di ribellione verso la società e i suoi modelli contraddittori. Spesso Le "ragioni" che i ragazzi adducono per il ritiro sociale sono diverse, ma ruotano sempre intorno al timore di fallire, alla paura di essere giudicati e derisi, o dal rifiuto di pressioni sociali ritenute eccessive e contrarie ai propri desideri o aspirazioni.Credo di non essere l'unica a pensare che sia profondamente drammatico.

I ragazzi dopo un avvenimento "precipitante" (che può essere qualunque cosa, un voto brutto a scuola, un sentimento non corrisposto, l'orientamento sessuale, una lire tra amici, un atto di bullismo, una lite con i fratelli o genitori...) sviluppano forme di somatizzazione, come il manifestarsi di segnali di malessere fisici, mal di pancia, mal di testa, vomito, dissenteria e ansie sempre più crescenti per cui incominciano a fare assenze a scuola, diradano gli eventuali impegni sportivi e/o di associazione e tutti gli interessi fino a che vengono del tutto abbandonati.

Così si ritirano dalla vita sociale e restano chiusi nelle loro stanze avviando un'intensa attività di vita virtuale attraverso i videogiochi on line, i social, le serie televisive, ecc. Per molti di loro, ma non per tutti,internet rappresenta un rifugio, l'unico ambiente ancora frequentabile, all'interno del quale mantenere in vita sprazzi di sé e relazioni mediate dalla tecnologia e dallo schermo. La vita virtuale, che per definizione azzera contatti umani reali, visivi, uditivi olfattivi, consente di anestetizzare il profondo dolore e il senso di solitudine, la tristezza, la vergogna e l'angoscia che attanaglia l'adolescente alle prese con il crollo degli ideali infantili e una pervasiva sensazione di essere di fronte al fallimento.

L'avatar, in questi casi, sopravvive alla persona. Questa loro immersione nella vita virtuale e l'uso intenso dei videogiochi è da qualche tempo oggetto di discussione. Ci si pone la domanda se questa modalità sia un adattamento che si sviluppa per mitigare la nuova condizione di isolamento, e per mantenere un contatto con gli altri e/o svolgere delle attività o se è anche un fattore che contribuisce a favorire il mantenimento dell'isolamento sviluppando potenziali forme di dipendenza. Oggi distinguere un utilizzo fisiologico, a sostegno della sperimentazione di nuove parti di sé, da un utilizzo esagerato, disfunzionale dei social network e dei videogiochi risulta estremamente complesso.

Altrettanto difficile è definire con precisione quali siano i segnali di una dipendenza da internet, soprattutto se ci riferiamo alle generazioni nate dopo l'avvento degli ambienti virtuali e degli smartphone. Viviamo circondati da ragazzi risucchiati dal virtuale, e non bisogna far finta di niente. La tecnologia e internet ormai fanno parte della nostra realtà e dobbiamo interrogarci sul ruolo che hanno questi strumenti sul modo di affrontare le relazioni, il gioco e la costruzione dell'identità dei giovani. Di fronte a tutto questo, un giovane che si isola dal mondo in cui dovrebbe fare esperienza, un giovane sopraffatto dalla paura, la famiglia per prima viene sconvolta, sopratutto appena realizza che dietro la chiusura non ci sono capricci o disinteresse ma capisce che dietro quel ragazzo c'è un mondo di emozioni, di vissuti e di sofferenza.

Una famiglia si traumatizza. Questo isolamento che dilaga é un malessere profondo che va guardato in faccia e che coinvolge tutti, La famiglia, la scuola, le istituzioni, i servizi sociali, i mass-media, la rete, la società. Loro "gli adolescenti" sono un mondo complesso, loro con il loro malessere ci parlano, in contrapposizione agli ideali proposti dalla società, della loro paura di non farcela, di non essere all'altezza delle aspettative, di non essere adeguati, di non essere in grado di sostenere la competizione sociale.

Il loro profondo malessere ci invita anche, forse, a guardarci dentro a rivedere i nostri modelli di riferimento e la società stessa. Ci invitano a pensare e ri-pensare a nuovi modi di stare insieme. La domanda che mi sorge spontanea é: siamo davvero in grado di ascoltarli? Riusciamo a trovare il tempo per vederli e ascoltarli? "Vederli", è una impresa. Scoprire questo disturbo dilagante tra gli adolescenti mi ha turbato, penso sopratutto agli adolescenti, ai giovani che negli ultimi due anni sono stati schiacciati dalle rinunce, dalle restrizioni, dalla dad, dalla paura.

Bisogna fermarsi a pensare che l'adolescenza é tante cose, é un passaggio complesso che merita attenzione, molta attenzione in primis dalla famiglia e poi da tutti i soggetti che in qualche modo entrano in contatto con i ragazzi. Condivido queste informazioni perché credo fermamente nella condivisione di informazioni che possono ottimizzare l'ascolto e possono aiutare a far vedere dettagli che altrimenti potrebbero sfuggire.

I due grandi problemi dell’adolescenza sono: trovarsi un posto nella società e, allo stesso tempo, trovare se stessi. (Bruno Bettelheim)

Impariamo a vedere questi ragazzi...

Maria Elena Bianco

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