Perdere un figlio: “il lutto più grande”

Redazione Prima Pagina Partanna
Redazione Prima Pagina Partanna
01 Novembre 2020 12:01
Perdere un figlio: “il lutto più grande”

(Umile riflessione di una madre di fronte ad un evento che lascia sgometi). In queste ultime ore sono rimasta ammutolita di fronte al lutto grave che ha colpito una famiglia del nostro Comune. Questo evento, credo come a molti se non a tutti, mi ha lasciato una tristezza dentro tale che ho bisogno di scriverne. Ne sento il bisogno come essere umano, come credente, come madre. Come essere umano percepire in questo modo, come una scheggia che ti si conficca dentro all’improvviso e fa subito male, che siamo fragili in questa vita è stata una doccia fredda.

Capire che si può morire mentre facciamo quello che facciamo sempre è destabilizzante. Attorno un silenzio assordante. Siamo burattini nel mondo a cui il destino può tagliare i fili in qualunque momento ed in qualunque modo. Ecco, mi è chiaro da un po’. Da quando ho perso mio padre all’improvviso lo so. Oggi però questa consapevolezza è diversa: sono una madre e penso alla morte di un figlio. Quel filo tagliato, spezzato, reciso fa cadere un corpo a terra esanime e ci ricorda che siamo anche carne e ossa.

Questa cosa mi mette a disagio. Perché carne e ossa non basta a dire cosa siamo. Siamo abbracci, risate, occhiate, eventi fermati nelle foto, siamo ciò che diamo agli altri e ciò che non diamo, siamo storie, siamo strati, siamo peso. Ad un certo punto quel corpo cede, comincia a raggelarsi ma quando si tratta di un figlio è molto di più di questo. E’ un nuovo dolorosissimo parto che fa male in un modo che non si può descrivere. Come credente mi sono posta molte domande. Perché? Perché così? Perché una madre ha dovuto sentire dentro questo strappo incurabile? Perché un padre ha dovuto perdere la sua principessa? Perché una sorella deve subire un dolore così radicale in una età così giovane? Perché la vita talvolta si declina in questo modo doloroso? Perché questa sofferenza? Ho faticato a pormi queste domande e la fatica è ancora lì, presente e attenta a non far avvicinare a me risposte dettate dalla tristezza, dalla rabbia, dalla incapacità di capire.

Arriveranno con il tempo come sono sempre arrivate… Difficile darsi spiegazioni così come è difficile non porsi sempre più domande. L’uomo ha una grande dote che talvolta è una croce: sopravvive a tutto. Anche alla morte di un figlio. Ho faticato a pregare ma l’ho fatto. Da credente credo che la fede possa essere conforto, prima o poi, per chi crede, anche immersi in un dolore nero che non va vedere alcuna luce. Da credente resto attorniata da dubbi che spero possano farmi crescere e migliorare, resto a guardare quel mistero che talvolta indica la via e altre mi disorienta.

Come stavolta… Come madre mi sono sentita spezzare dentro. Il solo pensiero di quella madre (che tra l’altro conosco e stimo) raggiunta da quella notizia mi ha fatto subito pensare ad una immagine: un buco nero che inghiotte, in un secondo, passato, presente e futuro. Tutti per un secondo siamo stati quella madre, tutti per un secondo siamo impazziti dentro. Noi, per un solo secondo. Di fatto la paura accompagna ogni donna nel momento in cui diventa e si sente madre. La preoccupazione che possa succedere qualcosa ai figli, dalla semplice sbucciatura di un ginocchio ad un incidente, è costante, accompagna e cresce insieme a ciascuna madre.

Quando poi i figli crescono e prendono la patente per il motorino o per l’auto quella paura torna prepotente. Stai attento! Stai attenta! Sono le frasi che materialmente si pronunciano di più in assoluto nella carriera di genitori. I figli non sono figli nostri, sono figli della vita, si dice. Frase bellissima e ricca di significato. Ma quando quella paura diventa un fatto certo, conclamato, che viene a sbatterci in faccia come un treno ad alta velocità che succede? Quando quello che temiamo di più accade, che succede? Ecco di nuovo chiara l’idea del buco nero di cui parlavo prima.

Impensabile che quel figlio partorito con dolore che si è stretto per anni al petto, che si è fatto mangiare, che si è lavato, che si è curato con amore infinito, lo si possa perdere. Specie se rubato da un incidente mortale. Accompagnare un figlio è innaturale. Io da madre non so neanche formularlo questo pensiero. In queste circostanze chi veramente capisce e sa è chi ha vissuto e vive lo stesso dolore, al di là delle cause che hanno causato la morte del figlio. E gli altri? Gli altri, tra cui me, possono solo restare zitti e solo provare a pensare a come si possa sopravvivere, senza avere più contatti con il figlio, senza poterlo abbracciare, senza poterlo sentire, senza poter sognare grazie a lui il futuro.

Mentre scrivo mi tremano le mani… Poi tutto questo è amplificato dal momento che stiamo attraversando. Il non poter stringere le mani, abbracciare, il non potere riscaldare un cuore reso gelido dalla tragedia fa assumere a tutto un tono grigio annichilente. Altro non so dire. Chiudo questa riflessone citando Fernando Pessoa: La morte è la curva della strada, morire è solo non essere visti.   Maria Elena Bianco

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